Recentemente la Cassazione è intervenuta con una sentenza molto importante (la n. 3376 del 17 novembre 2001-30 gennaio 2002) affrontando il caso di un imputato disabile in un procedimento penale: prima dell'apertura del dibattimento l'imputato tramite il proprio difensore aveva manifestato la volontà di essere presente all'udienza, facendo peraltro osservare, in quanto privo di entrambi gli arti inferiori, l'impossibilità di accedere ai locali di udienza a causa della presenza di barriere architettoniche che impedivano l'utilizzo della sedia a rotelle. Il giudice di primo grado aveva ritenuto che non ricorresse un'ipotesi di assoluta impossibilità a comparire in quanto, ove l'imputato ne avesse fatto richiesta, si sarebbe potuto ovviare all'incapacità di deambulazione con mezzi ausiliari. In altre parole secondo il giudice toccava all'imputato disabile richiedere degli ausili in modo da mettere l'ufficio giudiziario nelle condizioni di predisporre quanto necessario per superare le barriere architettoniche. Non essendo stata riscontrata un ipotesi di assoluta impossibilità a comparire il giudice di primo grado aveva dichiarato così la c.d. contumacia dell'imputato. La contumacia è quella situazione che si verifica quando l'imputato, cui è stato regolarmente notificato il decreto di citazione, non si presenta all'udienza e non appare probabile che l'assenza sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento. In questi casi la legge consente al giudice (emettendo un ordinanza) di procedere ugualmente anche in assenza dell'imputato il quale viene rappresentato dal suo difensore. Senonchè mentre normalmente la contumacia può derivare da una libera scelta effettuata dall'imputato il quale ha diritto di scegliere se partecipare al giudizio con la sua presenza oppure starsene a casa e lasciare che il processo segua il suo corso, nel caso di specie la mancata presenza in aula di un disabile era "imposta" dalla presenza di barriere. La Suprema Corte è così intervenuta ritenendo che il giudice di primo grado non abbia accertato adeguatamente l'impossibilità di comparire, scaricando il problema sull'imputato stesso. Secondo la Cassazione l'impossibilità a comparire va ritenuta "assoluta" anche quando la comparizione all'udienza, pur astrattamente ipotizzabile, comporterebbe un sacrificio di notevole entità che non sarebbe ragionevole richiedere. Questo passaggio è a mio parere molto significativo in quanto viene richiamata la necessità di tener conto anche della dignità del disabile nell'esercitare i suoi diritti. Nella sentenza viene chiaramente affermato che "gli interventi di rimozione degli ostacoli debbono essere preventivi rispetto al manifestarsi dell'esigenza della persona disabile e i problemi di questa non possono essere oggi considerati come problemi individuali, ma devono essere assunti dall'intera collettività". L'importanza di questa pronuncia, al di là della singola questione, sta nell'aver affermato un principio molto importante per cui "è la collettività che deve assumersi gli oneri conseguenti all'esigenza di garantire ai disabili un concreto e dignitoso esercizio dei diritti fondamentali (e quello di difendersi in giudizio si pone certamente fra i più significativi) perché risulta contrario ai principi di uguaglianza e alla dignità della persona subordinarne l'esercizio ad una attivazione del cittadino che ponga rimedio alle mancanze - contrastanti con precisi precetti normativi - dell'amministrazione pubblica)" In altre parole, continua la Suprema Corte, "una volta che l'autorità giudiziaria abbia convocato il cittadino a comparire in giudizio, spetta in via generale all'amministrazione garantire che per le persone disabili siano assicurate modalità di accesso ai locali rispettose dell'ugualianza e della pari dignità di tutti i cittadini". Anche se ogni pronuncia giurisprudenziale ha efficacia limitata alle sole parti della controversia, le considerazioni esposte dalla sentenza in esame potranno essere utilizzate e richiamate in futuro per sostenere le ragioni di quanti si trovano spesso a "lottare" nei confronti di enti poco sensibili ai diritti dei disabili.