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26 Gennaio 2017

Diritto allo studio, 24 famiglie presentano ricorso

Supportati dal Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi di LEDHA, diversi genitori si sono rivolti al tribunale di Milano per chiedere che sia garantito il diritto all'istruzione per i propri figli.

Ventiquattro famiglie – supportate dal Cento Antidiscriminazione Franco Bomprezzi di LEDHA – hanno presentato un ricorso al Tribunale di Milano contro la Città Metropolitana di Milano, per non aver garantito, sin dall’inizio dell’anno scolastico, il numero di ore di assistenza alla comunicazione o assistenza educativa di cui i loro figli hanno bisogno per frequentare regolarmente le lezioni, a parità di diritti con i loro compagni, quindi per accertarne la discriminazione.  Il ricorso coinvolge anche il Miur (Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca) oltre che i singoli istituti scolastici frequentati da questi bambini e ragazzi “per aver omesso di individuare nel PEI (Progetto educativo individualizzato, ndr) pur adottato, il numero di ore di assistenza educativa e/o alla comunicazione necessarie”.

Antonella (nome di fantasia, ndr) frequenta la quinta elementare: avrebbe bisogno di 18 ore settimanali di assistenza alla comunicazione ma ha potuto usufruire di appena sette ore settimanali di assistenza. Inoltre, l’assistente alla comunicazione ha potuto iniziare le proprie attività solo a partire dal 10 novembre 2016: a ben due mesi dall’inizio dell’anno scolastico. Sara (nome di fantasia, ndr) frequenta la prima superiore e avrebbe bisogno di essere affiancata per 14-15 ore a settimana da un’educatrice. Tuttavia, a causa delle difficoltà di Città Metropolitana, Sara è rimasta priva di assistenza fino al 1° dicembre 2016. E anche quando il servizio è stato attivato, le sono state garantite solo cinque ore di assistenza a settimana.

“Il taglio delle ore di assistenza erogate – spiega l’avvocato Laura Abet  del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi – è stato giustificato da Città Metropolitana con la mancanza di risorse economiche. Di fronte a questa situazione, molte famiglie hanno pagato di tasca propria le spese necessarie per garantire ai propri figli le ore di assistenza di cui hanno bisogno”.

Nel ricorso, LEDHA chiede innanzitutto al Giudice di ordinare alla Città Metropolitana di Milano di assegnare ai figli dei ricorrenti “le ore di assistenza educativa e/o alla comunicazione” stabilite dal PEI e di coprirne i relativi costi. Inoltre, si chiede alla Città Metropolitana di risarcire gli alunni per il danno subito, oltre che a risarcire i genitori per le spese che hanno dovuto sostenere in questi mesi per garantire ai propri figli la possibilità di frequentare la scuola. “Si tratta di importi anche significativi, in alcuni casi anche di 1.500-1.800 euro per due-tre mesi di scuola”, rimarca l’avvocato  Abet. E, cosa più importante “si chiede al Giudice di adottare un Piano di rimozione della discriminazione, così come previsto dall’ art.28, co.5, D.Lgs. 150/2011, che preveda la riorganizzazione del servizio con onere di reperimento delle risorse esclusivamente a carico dell’Amministrazione Pubblica, senza oneri anticipatori a carico delle famiglie garantendo la continuità del servizio, oltre ovviamente al divieto di reiterare in futuro analoghi provvedimenti ”, conclude l’avvocato.

La mancanza di risorse economiche non può essere una giustificazione – commenta Marco Rasconi, presidente di LEDHA Milano –. Quello allo studio è un diritto incomprimibile, di conseguenza non può essere limitato per mancanza di risorse economiche. Questo ricorso, a fianco delle famiglie, è un atto dovuto. E invitiamo tutti i genitori che si trovano in questa situazione a contattarci”.

“Malgrado l’impegno della politica, restano diverse situazioni di criticità e abbiamo molte segnalazioni di bambini e ragazzi che ancora oggi non possono andare a scuola per la mancanza di assistenti – conclude Alberto Fontana, presidente di LEDHA -. Per questo è importante che le Istituzioni mantengano gli impegni presi. Inoltre, sollecitiamo associazioni, cooperative ed enti gestori dei servizi  a informare le famiglie sui loro diritti e su come possono agire per tutelarli”.

 

 

 

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