La ripartizione e l’utilizzo delle risorse del Fondo per la non autosufficienza rispondono a criteri e linee guida che fanno prefigurare un deciso cambiamento di rotta nell’impostazione del welfare lombardo.
Le modalità di utilizzo delle risorse provenienti dal Fondo per la Non Autosufficienza 2013 erano già state ampiamente comunicate con la Dgr 590 del 2 agosto scorso. Si tratta di un complesso di oltre 40 milioni di euro di provenienza statale, connessi al rifinanziamento del Fondo che nell'anno precedente era stato invece azzerato (si veda articolo correlato).
La Dgr 590 prevedeva in estrema sintesi di:
- destinare il 35% di questo fondo al sostegno alla disabilità gravissima ed il restante alla disabilità grave;
- estendere la platea dei beneficiari dalle solo persone con SLA ed altre malattie del motoneurone, beneficiarie dei precedenti dispositivi, all'insieme di persone con disabilità gravissime;
- ricomporre ed integrare le risorse previste per gli interventi sociali, sanitari e sociosanitari;
- far precedere l'erogazione del contributo ad una valutazione multidimensionale del bisogno come premessa di un processo di presa in carico globale ed integrata da parte di Asl e Comuni ed alla stesura di piano di assistenza con forte connotazioni di personalizzazione.
Un serie di intenti che confermavano la volontà della nuova Giunta regionale di abbandonare, seppure con le dovute prudenze, l'attuale modello di welfare sociale lombardo per aprirsi a un maggior coinvolgimento delle istituzioni territoriali ed una maggior attenzione al contenuto ed all'efficacia degli interventi rispetto al semplice rispetto della "libertà di scelta" dell'ente erogatore. Volontà già emersa dalle dichiarazioni contenute nel capitolo dedicata all'Area sociale del PRS (Piano Regionale di Sviluppo) e nella DGR 116 che istituiva il Fondo Regionale per la Famiglia. Dichiarazioni programmatiche che trovano un primo concreto campo di sperimentazione.
La Dgr 740, come prevedibile, conferma quanto indicato nella precedente comunicazione disponendo innanzitutto la divisione tra gli interventi diretti alle persone con disabilità gravissima da quelli destinati alle persone non autosufficienti.
Sulle disabilità gravissime
La disabilità gravissima viene individuata nella dipendenza da un assistente per vedere assicurate le funzioni vitali, primarie e di relazione. I beneficiari dovranno avere meno di 65 anni. A queste persone, con queste caratteristiche indipendentemente dall'eziologia, viene garantito in forma universalistica una forma di sostegno significativa, pari a 1.000 euro al mese.
La titolarità dell'intervento in questo caso sarà in capo all'Asl con una forte prescrizione di coinvolgimento dei Comuni. Un intervento e una titolarità schiettamente pubblica che, come previsto, non si limiterà alla gestione amministrativa connessa all'erogazione del contributo ma dovrà prevedere una fase di valutazione multidimensionale del bisogno, la stesura di un progetto di assistenza personalizzato che comprenda ed integri le risorse a disposizione della persona e ne veda un coinvolgimento diretto ed abbia connotati di forte flessibilità e personalizzazione.
Le risorse statali per questa area di intervento sono pari a 14.543.375 euro a cui si aggiungono 3.500.000 euro provenienti dal Fondo Sanitario Regionale. Sembra, quest'ultima novità, una prima risposta ai dubbi di chi temeva una sottovalutazione del fondo rispetto al bisogno. A questo incremento si deve aggiungere l'impegno politico espresso dall'Assessore di prevedere fondi aggiuntivi nel caso si dovesse registrare un numero di richieste più alte di quelle preventivate dagli uffici regionali.
La valutazione del bisogno viene affidata alle UVM (Unità di Valutazione Multidimensionale) già costituite in occasione degli interventi in favore delle persone con SLA ed altre malattie del motoneurone e composte da un medico, un infermiere ed un assistente sociale di provenienza comunale. Viene lasciato una certa discrezionalità sugli strumenti di valutazione pur indicando "negli strumenti di valutazione già in uso" una scelta preferenziale. Viene comunque previsto con precisione come la valutazione dovrà essere la sintesi della valutazione funzionale della persona e della valutazione sociale.
Il richiamo culturale esplicito è quello all'esperienza del Budget di cura, anche se le condizioni sociali e culturali oggi presenti in Lombardia appaiono molto diverse da quelle che hanno contraddistinto le esperienze triestine o casertane. Il progetto personalizzato potrà indicare e prevedere diverse possibilità di intervento da quelle sostenute direttamente dal buono di 1.000 euro (assistenza diretta, aiuto domestico) a quelle assicurate dall'ADI fino ad arrivare alle "altre forme integrative per la risposta al bisogno, misure economiche di carattere assistenziale già erogate da Enti pubblici e privati". Viene infine richiamato l'inserimento dell'Isee individuale. Una previsione che non viene però collegata ad alcuna forma di limite nell'accesso alla misura collegata al reddito e di cui, quindi non si coglie, ad una prima lettura, la ragione.
Sulla non autosufficienza
Una parte significativa delle risorse del FNA sono destinate ad una platea potenzialmente molto più vasta di beneficiari, ovvero le persone con disabilità gravi senza vincoli di età. Lo schema di funzionamento di questa seconda misura ricalca quanto previsto per le persone con gravissime disabilità, con alcune significative differenze. La titolarità dell'intervento passa dall'Asl al Comune, il buono mensile sarà di 800 euro e potrà sostenere anche i costi connessi ai progetti di vita indipendente ed in questo vi sarà la possibilità per la persona con disabilità gravissima, già "coperta" dalla prima misura, di poter accedere anche a questa forma di sostegno.
Alcune riflessioni in merito
Come si accennava la Dgr 740 diviene il primo banco di prova per quella "discontinuità" annunciata dalla Giunta regionale in tema di welfare sociale. Un provvedimento sicuramente ricco di novità, rispetto al passato e che ha buone possibilità di effettiva implementazione, anche perché non va a toccare l'impianto complessivo e più impegnativo delle Unità di offerta sociosanitarie socio assistenziali. Si tratta infatti di una scelta di allargamento del raggio di impegno e responsabilità del welfare pubblico a fasce di popolazione rimaste fino ad ora escluse o ai margini della programmazione regionale. Anche il carattere di universalità della misura è significativo perché pone al centro la condizione di bisogno / diritto della persona e non la tipologia della sua menomazione e neppure la condizione economica personale né del suo nucleo familiare
Una discontinuità che rimette al centro della programmazione degli interventi il servizio pubblico richiedendo ad Asl e Comuni un livello di integrazione e collaborazione impensabili nel recente passato. In che modo livelli di governo oggi spesso così distanti potranno integrarsi, senza mettere in gioco le loro autonomie operative? Chi deciderà in caso di contrasti o anche solo differenze di vedute?
Le possibili criticità in fase di implementazione riguardano la scarsa formazione e abitudine dei dirigenti e operatori sociali a questo tipo di azione e di responsabilità. Una responsabilità che va oltre la semplice previsione di diverse prestazioni ed alla loro gestione burocratica. Si è chiamati ad un incontro reale e profondo con le persone, ad entrare nel merito del contenuto dei progetti di vita ed alle scelte di intervento, ad interagire non solo con "enti erogatori" ma con le famiglie ed il loro territorio.
Un processo di cambiamento, che sarà presumibilmente molto ben accolto dagli operatori del settore, ma che non vede al momento alcun tipo di supporto operativo o formativo: l'eccezione significativa è data dall'attività di monitoraggio e controllo che sarà gestita dalla stessa Asl e dagli stessi Comuni ma che dovrà vedere il coinvolgimento delle associazioni soprattutto per quanto riguarda gli esiti degli interventi, anche in ordine alla soddisfazione delle persone coinvolte. E' questa una ulteriore richiesta di profondo cambiamento che viene posta agli operatori pubblici: l'attività di monitoraggio e valutazione dovrà entrare necessariamente nel merito dei progetti e non limitarsi alla verifica degli adempimenti formali.
Un cambiamento di rotta il cui peso culturale sembra non trasparire nelle parole del documento regionale invece molto preoccupato degli aspetti organizzativi: il rischio evidente è quello che nel passaggio dalle parole alle azioni la portata innovativa si perda nelle inerzie gestionali. Accanto al rischio vi sono però anche ottime opportunità di ripensare gli interventi in favore delle persone con disabilità non più solo o tanto i termini assistenziali e prestazionistici ma come interventi schiettamente sociali.
Giovanni Merlo
Articolo pubblicato precedentemente su LombardiaSociale.it