Il Consiglio di Stato ribadisce che per le persone che vivono in strutture residenziali, nel caso in cui siano erogate anche significative prestazioni sanitarie, l’intera attività va considerata di competenza del sistema sanitario.
Lo spunto, per questa riflessione, arriva dalla pronuncia del Consiglio di Stato dello scorso luglio Sentenza del Consiglio di Stato - Sezione terza - 9 luglio 2012, n. 3997, già ampiamente commentata su Handylex dall'Avvocato Gioncada.
La situazione è quella ormai classica del contenzioso tra Aziende sanitarie e Comuni su chi spetti il pagamento della retta residenziale delle persone che vivono in strutture come, ad esempio le RSD o le RSA. Si tratta dell' ultimo atto di una vicenda che si trascina da diversi, troppi, anni. Anche in questo caso il Consiglio di Stato ha ribadito il principio per cui:
"nel caso in cui, oltre alle prestazioni socio-assistenziali, siano erogate anche prestazioni sanitarie, l'intera attività va considerata come di rilievo sanitario e, pertanto, di competenza del sistema sanitario nazionale, senza che assuma rilievo, in contrario, la circostanza dell'impossibilità di guarigione o di miglioramento della malattia psichica nella specie trattata".
Si tratta di un principio di semplice enunciazione e di semplice comprensione che si presta però a diverse difficoltà di interpretazione e quindi di applicazione.
Quando possiamo parlare infatti di "prestazione sanitaria" tale da far considerare "l'intera attività come di rilievo sanitario"?
Nella stessa sentenza il Consiglio di Stato ribadisce come "Stabilire pertanto quando le prestazioni abbiamo natura assistenziale (...) e quando più propriamente rilievo sanitario (...) può non essere agevole."
In teoria, ed anche in pratica, sarebbe necessario quindi verificare caso per caso, situazione per situazione.
Come appare chiaro la soluzione della questione non è priva di effetti concreti e non solo rispetto all'ente gestore, per chiarire a chi si debba chiedere di "pagare il conto" del costo della retta.
Nel caso infatti la prestazione fosse verificata di "rilievo sanitario", non solo il costo andrebbe in capo totalmente all'Asl ma non potrebbe essere richiesta alcuna partecipazione alla spesa né alla persona con disabilità né tantomeno ai suoi familiari. L'unione dell'interesse economico delle persone "ricoverate" nelle strutture residenziali a non contribuire al costo del servizio con quello dei Comuni di vedere alleggeriti i propri bilanci degli stanziamenti per il pagamento della cosiddetta quota sociale di RSD e RSA, potrebbe spingere all'apertura di decine e forse centinaia di ricorsi, soprattutto in questo momento di carenze di risorse sia per le famiglie che per gli enti locali.
La situazione del welfare in Lombardia spingerebbe infatti in questa direzione per due precise ragioni:
Questi due fatti hanno portato nel corso dell'ultimo decennio ad una pressione e relativa espansione delle strutture sociosanitarie che, anche per via della costante attività riformatrice della Giunta, hanno visto crescere i loro aspetti sanitari. Ci troviamo quindi oggi nella situazione in cui nelle strutture residenziali sociosanitarie convivono persone dimesse precocemente dai servizi sanitari e persone inserite impropriamente in contesti ad "alta protezione", per mancanza di alternative appropriate.
Si è parlato, rispetto a queste ultime numerose situazioni, di "sanitarizzazione del bisogno", descrizione tanto più stridente tanto più perché emersa nel momento in cui la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità imponeva l'approccio alla disabilità basato sui diritti umani, e quindi di stampo sociale.
Intraprendere la via giudiziaria per ottenere la presa in carico globale, almeno dal punto di vista economica, porterebbe con sé indubbi vantaggi dal punto di vista economico delle persone e delle famiglie coinvolte ma anche certamente dal punto di vista dei Comuni, che vedrebbero così liberarsi risorse per sostenere i servizi socio assistenziali.
Le conseguenze a medio - lungo termine potrebbero essere invece negative perché spingerebbero il "mercato" dei servizi sociosanitari ad accentuare il proprio carattere sanitario a scapito dei già difficili percorsi di inclusione sociale e di riconoscimento dei diritti umani fondamentali delle persone a loro carico.
Alla luce di questa come della precedenti sentenze, riteniamo indispensabile che la Regione Lombardia si doti di strumenti di valutazione del bisogno capace di intercettare le situazioni oggettivamente di alto rilievo sanitario in carico alle strutture sociosanitarie. Allo stesso modo riteniamo che un analogo efficace strumento di valutazione possa far riconoscere tutte quelle persone in carico a questi servizi che abbiano invece un prevalente rilievo sociale e che si trovano "ricoverate" "solo" per mancanza di alternative sul territorio, con l'obiettivo di vincolare le risorse oggi spese impropriamente verso servizi maggiormente inclusivi.
Una qualsivoglia riforma del welfare non può che basare le sue fondamenta dalla prefigurazione del superamento dell'ormai non più funzionale divisione tra aspetti socio sanitari e quelli socio assistenziali che ormai, è evidente, si intrecciano sempre più in quello che deve essere il progetto di vita individuale: