Questo sito utilizza cookie. Proseguendo la navigazione si acconsente al loro impiego in conformità alla nostra Cookie Policy.
Informativa estesa         

Archivio notizie

18 Luglio 2006

Inclusione e disabilità

Un educatore professionale parla di inclusione sociale e disabilità ad altri educatori.

A cura di Paolo Aliata*

La parola inclusione - di istinto - mi suona male. Inclusione... il termine è freddo, meccanico: prendere e mettere dentro. Sembra quasi più vicina alla parola inserimento rispetto alla parola integrazione, di cui invece inclusione rappresenta l'evoluzione teorica ed operativa. Dove sta l'inghippo?

Ognuno di noi ha le proprie disabilità che facciamo sfuggire agli inquadramenti diagnostici con magia e destrezza rispetto alle grandi disabilità. Il rapporto con le persone con disabilità è un modo, una proiezione per leggere e vivere le nostre difficoltà, per oggettivarle e demonizzare o per guardarle da lontano. Le disabilità rappresentano la possibilità di uno sguardo diverso sul mondo, di una legge diversa di sostenere la "gravità", che intuiamo vera, autentica, sostenibile, ma in quanto diversa la viviamo spesso come minaccia da mettere a distanza.

Pensando ed occupando di disabilità, si parla delle condizioni di tutte le persone, della condizione umana che ha in se delle difficoltà di vita e delle disabilità. Una constatazione semplice e densissima perché porta al riconoscimento di un diritto, porta ad affermare che le persone disabili sono l'esempio più evidente di quella forma di ESCLUSIONE sociale che porta la vita quotidiana: l'abbandono scolastico, il non apprendimento, l'esclusione dal lavoro, dalla partecipazione alle attività, dalla fruizione del tempo libero, dai beni sociali. Queste esclusioni sono esclusioni di parti di noi. Rendere evidente questo legame permette di collocare la disabilità all'interno di un più grande intreccio e di porre in questione la dimensione sociale della CITTADINANZA. Eccoci arrivati per vie di pensiero un po' contorte all'inclusione. Impossibile ESCLUDERE persone come noi, parti di noi: impossibile, quasi ontologicamente, non dare loro "casa", cioè cittadinanza, appartenenza, collocazione spazio-temporale e vie di sviluppo. Impossibile non includere, come atteggiamento proprio di uomo che prima com-prende, ri-prende, ri-significa ed assegna "cittadinanza", cioè identità proprio alla disabilità, che non è né propria, né altrui, ma condivisa.

L'integrazione è attenta al COSA, l'inclusione al CHI. Infatti se l'integrazione ha come riferimento principale i bisogni speciali, l'inclusione rivolge la sua attenzione a tutti coloro che partecipano alla vita sociale. Inclusione non significa negare le specificità, ma spostare l'osservazione, l'analisi e l'intervento dalla persona alle caratteristiche del contesto per individuare quali ostacoli si possono presentare.

Cosa ne faccio dell'inclusione? Mi sono così passati davanti agli occhi gli "sguardi" delle persone con autismo con cui ho lavorato. Autismo è - soprattutto nell'accezione comune - stanza e buio, penombra e silenzio, dove cittadinanza è città, vie, quartieri ed anche luce e sole, suono e rumore. Come se ne esce? Il nucleo profondo dell'Autismo, la difficoltà a sviluppare le normali attitudini comunicativo interattive, permane tutta la vita: al di là delle modificazioni, pur declinandosi in modi diversi conferisce alla "sindrome" Autismo una sua stabilità.

Come includere, dato per certo che inclusione vuol dire dare la possibilità di essere cittadini, di abitare la vita? È un problema di regolazione, modulazione e connessione. Le persone con autismo sono persone che hanno una loro particolare via, paradossale "abilità" di entrare in relazione, di comunicare, di vivere le attività. È davvero diverso se si pensa di avere a che fare semplicemente con dei 'cervelli rotti' oppure con delle persone. Persone non "malgrado" il loro Autismo, ma nel cui Autismo è presente una soggettività preziosa e degna di emersione.

Si include, per definizione, a e in tutto, come per ogni persona. Il problema è come farlo in modo sostenibile e percorribile per la persona che lo vive. Sappiamo della difficoltà che le persone con autismo hanno nell'integrare le emozioni, nel dare e ricercare significato alle cose. È un problema di misurare le cose secondo il loro metro, dove 2 ore di lavoro equivalgono a 14 nostre, dove l'incontro con una persona nuova equivale per noi ad una dichiarazione di amore. Stessa densità, stesso esito emotivo dall'esperienza, a fronte di "quantità" di esperienza diversa. L'obiettivo è trovare l'adeguato fattore di trasformazione che non butti dentro, ma che non allontani.

Chi deve attivare l'inclusione? Veniamo a noi, educatori. È il nostro compito. L'inclusione diventa così un delicato e "artigianale" atto, gesto e pensiero che distilla dalla vita la possibilità di essere vissuta, abitata, inclusa che prende, ricerca e cattura possibilità di "inclusione" e le offre a vita alla persona. L'intervento non può così che uscire dalla relazione uno a uno, alza lo sguardo e si aprire al contesto, al territorio, alla città e non solo.

Non grandi cose: un fiore, una pianticella, una stretta di mano. Il sentirsi parte di uno spazio e di un tempo, "appartenenti", "cittadini". La possibilità di scelta, anche tra due cose: tra il mettere la maglietta rossa o quella blu, tra il gelato al limone e quello al cioccolato. Passa prima di tutto dalla costruzione di un contesto che trasmetta vita, autenticità.

Inclusione oltre all'aspetto operativo che va oltre e declina l'integrazione richiede l'assunzione di un approccio mentale: in-cludere come pensiero attivo, la persona con disabilità. La persone con autismo lo insegnano: "Pensami, con-siderami (da con-siderare=stare con le stelle) quindi sono". Assumere questo punto di vista non significa negare la presenza di menomazioni, danni, forme di sofferenza che hanno bisogno di essere individuate e trattate adeguatamente;. Piuttosto significa chiedersi come è possibile lavorare per promuovere condizioni di vita dignitose ed autentiche nei confronti di persone con difficoltà strutturali nella propria autonomia personale e sociale.

"Sta a noi decidere se vogliamo che l'Autismo sia l'altra parte del mondo o il mondo delle altre menti: isolato e distante, al confine tra il nostro sordo egoismo e la loro muta sofferenza". Sta a noi attivare prima nel pensiero e poi nelle azioni l'inclusione, la difesa e la promozione attiva di questo diritto.

* Educatore professionale
Testo tratto dalla docenza effettuata durante il corso di aggiornamento "Promuovere l'inclusione sociale" realizzato da Ledha e Provincia di Milano.

Condividi: Logo Facebook Logo Twitter Logo mail Logo stampante